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I dissalatori sono il futuro contro la siccità? I dati al 2023

dissalatore

I dissalatori potrebbero essere una risposta reale e attuabile in tempi brevi all’emergenza idrica, ma sembrano essere penalizzati da un quadro normativo e socio-politico sfavorevole.

Il Governo è al lavoro per rispondere all’emergenza idrica che sta colpendo l’Italia, puntando prevalentemente su misure di water saving ed efficientamento delle infrastrutture idriche.

Dissalatori penalizzati dalle autorizzazioni

Con il processo di desalinizzazione è possibile rendere potabile l’acqua di mare, ma nella Legge “Salvamare” questa soluzione non solo non viene promossa, ma sembra essere penalizzata da un aggravio dell’iter autorizzativo. 

L’intensificarsi degli effetti dei cambiamenti climatici potrebbe causare una significativa riduzione della disponibilità di risorse idriche, fino al 40% a livello nazionale e fino al 90% per il Sud Italia nel lungo termine.

Siccità in Italia e nel mondo

A livello globale, le Nazioni Unite denunciano che la mancanza d’acqua riguarda oggi 2 miliardi di persone, con il rischio di un aumento della domanda idrica con l’intensificarsi degli effetti dei cambiamenti climatici.

In mezzo secolo, il nostro Paese ha perso 5 miliardi di metri cubi d’acqua e affronta un rischio di desertificazione che cresce di anno in anno. Un aiuto nella gestione dello stress idrico può essere quello offerto dalle tecnologie di dissalazione, che permettono di disporre di volumi significativi di acqua dolce partendo da quella marina e salmastra.

A Catania si è tenuto, nel 2021, il convegno “Dal mare l’acqua per resistere al climate change. Le opportunità della dissalazione e il riutilizzo delle acque in Italia” organizzato da Althesys e dalla multinazionale spagnola Acciona.

«Il potenziale della dissalazione è enorme, ed è favorito anche dalla riduzione dei suoi costi e dalla possibilità di sfruttare le energie rinnovabili – ha affermato Alessandro Marangoni, CEO di Althesys – Il crescente impatto dei cambiamenti climatici, che sta aggravando fenomeni siccitosi e di desertificazione in alcune regioni, ne favoriranno lo sviluppo nei prossimi anni anche in Italia».

Dissalatore: costa meno costruirlo

Grazie al progresso tecnologico, i costi per gli impianti di dissalazione sono diminuiti negli ultimi anni. A oggi, i costi totali oscillano tra 0,6 e 1,6 dollari per metro cubo, e gli impianti più performanti riescono a scendere fino a 0,50 dollari per metro cubo.

I costi caleranno ancora grazie all’innovazione tecnologica e al know-how acquisito nel corso degli anni, che ha permesso un’ottimizzazione dei processi di costruzione, e al costo del capitale sempre più basso. La dissalazione può diventare una componente dell’intero ciclo idrico integrato, che permette l’equilibrio del sistema di approvvigionamento nel suo complesso.

Dissalatori: i vantaggi ambientali

Un altro fattore da tenere in considerazione sono i vantaggi ambientali della dissalazione in termini di sostenibilità nel lungo periodo. I punti critici del processo sono gli elevati consumi energetici e lo smaltimento dei residui, e proprio su questo si stanno facendo progressi.

Il ricorso alle rinnovabili può costituire un punto di svolta, sia nel favorirne la sostenibilità, sia nel ridurre i costi operativi. Le rinnovabili oggi più usate per la dissalazione sono solare ed eolico, a volte combinate tra loro e con fonti tradizionali per assicurare continuità di funzionamento all’impianto.

I vantaggi dei dissalatori per il Sud e le isole

Altro fattore importante è quello legato all’approvvigionamento idrico nelle isole. Investimenti in questo ambito potrebbero contribuire a fronteggiare la scarsità idrica, con consistenti vantaggi in termini sia economici che ambientali.

Per l’approvvigionamento idrico oggi si ricorre principalmente a navi cisterne con costi elevati a carico delle Regioni e dello Stato. Desalinizzare l’acqua è più economico che trasportarla via mare fino al luogo di utilizzo.

I dissalatori in Italia: a che punto siamo

La produzione di acqua dissalata in Italia è oggi solo lo 0,1% del prelievo di acqua dolce. Lo sviluppo dei dissalatori è stato finora limitato a impianti di dimensioni medio-piccole, che si trovano prevalentemente in Sicilia, Toscana e Lazio.

Come emerso dai dati elaborati da The European House-Ambrosetti, un’altra leva importante per una strategia di lungo periodo contro la siccità deriva dalla valorizzazione degli invasi e dalla raccolta di acque meteoriche.

L’Italia riesce a recuperare solo 5,9 miliardi di metri cubi di acque meteoriche a fronte di una disponibilità potenziale di 54 miliardi di metri cubi con un impatto importante sulla filiera agricola e industriale ma anche civile. Tra le infrastrutture più datate sul territorio troviamo le grandi dighe che hanno un’età media a livello nazionale di 58 anni, con punte che raggiungono i 92 anni in Liguria e oltre 80 in Piemonte e Valle d’Aosta. Le più recenti si trovano in Puglia e Molise. Negli ultimi 10 anni sono state attivate solo due dighe di grandi dimensioni.

Il potenziale della dissalazione in Italia è enorme, e grazie al perfezionamento dei processi e allo sviluppo dei materiali si prevede un’ulteriore diminuzione dei prezzi. Se nel 2019 erano scesi per la prima volta sotto i 3 dollari, il 2020 ha visto un nuovo record storico, con il prezzo che si è attestato a 1,5 dollari al metro cubo.

Dal punto di vista energetico, la desalinizzazione può offrire forti sinergie con le rinnovabili. Le zone aride, dove i dissalatori sono più usati, sono anche quelle con il maggior irraggiamento solare, e quindi più adatte al fotovoltaico. L’unione tra impianti di dissalazione, generazione solare, eolica, CSP e termoelettrica permette di limitare le emissioni e ridurre i costi energetici e la loro volatilità legata ai combustibili.

Nelle isole la desalinizzazione in situ è più conveniente del trasporto. Il costo dell’acqua desalinizzata si attesta infatti sui 2-3 €/m3, mentre il prezzo di un metro cubo di acqua trasportata via nave si aggira su livelli molto più alti, circa 13-14 euro. Molte isole, soprattutto in Sicilia, Toscana e Lazio, hanno iniziato a dotarsi di impianti di desalinizzazione. La maggior parte di quelli presenti nelle principali isole italiane è stata costruita dopo il 2005. 

Il PNRR individua quattro voci di investimento con lo scopo di “garantire la sicurezza dell'approvvigionamento e la gestione sostenibile delle risorse idriche lungo l’intero ciclo” per risorse totali di 4,38 miliardi di euro, circa 51% nel Mezzogiorno, delle quali poco meno della metà sono dedicate a “infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico”.

Dissalatori: l'Italia è indietro?

A livello globale vengono generati 108 milioni di metri cubi al giorno di acqua dissalata, mentre in Italia appena 650.000. La dissalazione delle acque marine, una delle possibili soluzioni al problema della siccità, viene realizzata nel nostro Paese da 340 impianti che generano acque impiegate per quasi il 70% nel settore industriale e destinate solo in minima parte all’agricoltura e all’uso civile.

«Siccità ed eventi estremi hanno generato quasi 6 miliardi di euro di danni per l’agricoltura, quest’anno tra i 7 e i 10 miliardi di danni complessivi stimati solo per l’alluvione in Emilia-Romagna – afferma Valerio De Molli, Managing Partner e CEO di The European House-Ambrosetti – La dissalazione ha le potenzialità per diventare una delle soluzioni di un sistema integrato di approvvigionamento idrico nel nostro Paese. Il mercato della dissalazione vale oggi 13,6 miliardi di euro per una capacità produttiva che aumenta mediamente del 6,8% all’anno. La dissalazione dell’acqua non può essere l’unica soluzione al problema della siccità, ma va inserita in una rosa di soluzioni per uscire da una logica emergenziale e trattare il tema dell’acqua con un respiro di lungo periodo. Un’altra dimensione su cui agire è il riuso. Rispetto alla gestione pubblica quella industriale favorisce il riuso delle acque depurate per oltre 23 punti percentuali in più. I 18.000 impianti di depurazione raddoppieranno nel breve-medio periodo, ma rimane da gestire il tema della destinazione delle acque reflue. Solo il 4% è oggi destinato al riuso diretto, 6 volte in meno della Spagna e 4 volte in meno rispetto alla Francia».

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