ANALISI

Il clean tech europeo "schiacciato" dalla concorrenza cinese e americana

Clean tech Algebris Investments

Restare in Unione Europea o puntare sugli Stati Uniti? È la difficilissima scelta che potrebbe imporsi alle aziende europee di “clean tech”, cioè di tecnologie pulite per la transizione energetica.

Lo sottolinea, in una analisi, il Team Azionario Sostenibile di Algebris Investments, che parte da un concretissimo caso aziendale.

Il caso Meyer Burger

«Meyer Burger è un’azienda svizzera produttrice di moduli solari di alta qualità in Germania.

Tre anni fa ha annunciato l’obiettivo di espandere la capacità da 0,4 GW a 6,9 GW entro il 2026, rivolgendosi sia al settore residenziale che a quello dei servizi pubblici in UE e negli Stati Uniti.

L’essere operativi in entrambe le aree geografiche pone l’azienda dinnanzi a una scelta difficile che andrà a definire la propria strategia e modello operativo per il prossimo decennio: aderire al US Inflation Reduction Act (IRA) o al EU Green Deal Industrial Plan?»

Per capire meglio la portata di questa scelta, dobbiamo guardare a un comunicato stampa del 17 gennaio 2024.

In cui Meyer Burger ha annunciato la decisione di spostare la propria base produttiva unicamente negli Stati Uniti e di chiudere l’impianto di produzione in Germania, a seguito dell’assenza di sostegno da parte del governo locale.

«Alla base di questa decisione c’è la situazione del mercato solare europeo, dove si registra un eccesso di offerta di pannelli a causa della sovrapproduzione cinese (sovvenzionata dallo Stato) e delle restrizioni alle importazioni da parte di Stati Uniti e India.

L’azienda prevede un EBITDA negativo per almeno 126 milioni di franchi svizzeri per il 2023».

Ma a spingere Meyer Burger verso gli Stati Uniti è influenzata anche dalle politiche industriali favorevoli degli USA, compresi i potenziali crediti d’imposta e i programmi di sostegno governativo come l’IRA.

Secondo l’azienda, con questo provvedimento, si potrebbero ottenere fino a 1,4 miliardi di dollari in crediti d’imposta dal 2024 al 2032.

La chiusura del sito produttivo di Meyer Burger in Germania, che potrebbe avvenire già nell’aprile del 2024, riguarda direttamente i circa 500 dipendenti. Ma anche la capacità produttiva domestica europea per alcune delle tecnologie più avanzate nel campo dell’energia solare, una delle priorità strategiche della politica industriale dell’UE.

Che cosa impatta sul clean tech europeo

Secondo gli analisi di Algebris, le imprese europee del settore delle “energie pulite” sono pesantemente influenzate da due elementi.

I sussidi cinesi

Le importazioni cinesi stanno distorcendo il mercato europeo, in quanto abbondanti e molto economiche. I prezzi di mercato risultano inferiori al costo di produzione delle aziende europee.

I costi di produzione del fotovoltaico in Europa sono del 20%-25% superiori ai livelli di costi cinesi più efficienti.

Questo anche grazie ai massicci sussidi governativi del Dragone, oltre ai volumi molto elevati raggiunti dagli operatori cinesi.

In Cina viene prodotto quasi il 95% dei wafer mondiali, sono presenti aziende specializzate, c’è un forte potere di acquisto sulle materie prime ed esistono già importanti economie di scala.

La competizione per le aziende europee è molto difficile, soprattutto perché il rialzo dei tassi di interesse ha aumentato l’attenzione di famiglie e imprese al controllo dei costi.

L’Europa incentiva poco

E poi ci sono i sussidi europei, non competitivi rispetto non solo all’intervento dello stato cinese, ma anche agli equivalenti incentivi americani.

Sia la UE sia gli USA hanno introdotto una legislazione a sostegno della transizione green. Il Green Deal europeo e l’IRA statunitense hanno obiettivi simili, ma approcci molto differenti.

Riportiamo ancora una sintesi dell’analisi di Algebris Investments.

Il piano industriale dell’UE si concentra sulla definizione di obiettivi di produzione, sovvenzionando la costruzione di nuovi impianti per il loro raggiungimento.

Il 40% di tecnologie verdi dovrebbe essere prodotto a livello locale entro il 2030 e di recente ha approvato quasi 1 miliardo di euro di sovvenzione per il produttore svedese di batterie Northvolt.

Secondo Algebris, questo approccio vuole rassicurare i mercati fornendo una guida chiara, ma può portare a “investimenti inefficienti”, lasciando le aziende senza un supporto strutturale e portandole al disinvestimento.

È il caso di Meyer Burger.

L’IRA statunitense, invece, non ha fissato obiettivi di produzione ampi e non sovvenziona solo i costi di capitale iniziali delle imprese.

Prevede incentivi mediante un credito di imposta, condizionati a determinati impegni.

Un esempio sono i progetti energetici che utilizzano il 100% di acciaio Made in USA: accedono a un ulteriore credito di imposta sulla produzione, pari al 10%.

Oppure, è previsto uno sconto sul prezzo di un veicolo elettrico, se è prodotto a livello nazionale.

Queste misure sostengono la produzione effettiva, generando posti di lavoro.

Che cosa dovrebbe fare l’Europa

Gli obiettivi europei sono ambiziosi, ma sembrerebbero necessarie misure più pragmatiche a sostegno delle imprese.

Il 23 gennaio, riporta Algebris, il governo tedesco ha chiesto una modifica al Piano UE, per aumentare il sostegno ai produttori solari locali.

L’intenzione è certamente quella di tranquillizzare aziende che affrontano lo stesso dilemma di Meyer Burger. Ma il rischio è di generare ancora maggiore confusione sullo scenario dei prossimi anni, su cui andranno sviluppati i piani commerciali e strategici.

Il rischio di una competizione UE – USA rischia di compromettere seriamente il già difficile percorso europeo verso una maggiore indipendenza nel settore delle rinnovabili.

Iscriviti alla newsletter